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Sull'Afghanistan alla fine muore la Casa delle Libertà

Cavaliere furioso. Prodi: «Una svolta»

È stato proprio sulla politica estera, la stessa "buccia di banana" che aveva fatto vacillare la maggioranza, che alla fine si è schiantata la Casa delle Libertà. Una morte annunciata - perché di morte si tratta - arrivata alla fine di un travaglio con il voto di ieri sera al Senato. A sentenziare il crollo dell'edificio berlusconiano è questa mattina l'ex presidente della Camera Pierferdinando Casini, leader dell'Udc che ha votato insieme al centrosinistra senza per altro essere dirimente sull'approvazione del decreto.

Casini che prima del voto aveva detto: «Se saremo decisivi Prodi si dovrà dimettere», ora ammette di non poterlo chiedere. Anzi, precisa dalle colonne del Corsera: «Se ora Berlusconi e Fini andranno al Quirinale a chiedere la crisi di Governo, andranno senza di me». Cosa è accaduto allora nell'aula del Senato? Per Casini il voto di ieri fotografa un centrodestra che «si radicalizza», con «Bossi che detta la linea e Berlusconi e Fini che l'hanno seguito». Risultato, «la credibilità dell'opposizione viene indebolita». Guardando ai numeri con cui è passato il decreto al Senato Casini ribadisce che l'Udc non è stato determinante: «Berlusconi ha sbagliato due volte. Nella politica e pure nell'aritmetica: il decreto sarebbe passato anche senza i nostri voti». Insomma, il leader di Fi «ha commesso un grave errore. Un autogol».

Prospettive future? Nessun inseguimento di Marco Follini e cautela sul centro, specie sul «partito dei reduci» proposto da Clemente Mastella - Casini lo definisce così -, che non interessa. «La mia è un'avventura solitaria», perché «nessuno vuole andare a sinistra. Neppure Tabacci. Ci sarà un dialogo sulla legge elettorale, senza scambi né controparte». Sono gli altri però che dovrebbero fare autocritica. Ma non ne hanno voglia.

Silvio Berlusconi, con ancora nelle orecchie gli applausi del palco della Moratti a Milano, non nascone la sua rabbia, per ora però lo fa dietro le quinte. Interpellato in pubblico ieri sera sull'Udc e le prospettive della Cdl, ha eloquentemente chiesto la domanda successiva. Oggi però compaiono suoi sfoghi in diversi retroscena sui giornali: tutti gli attribuiscono un desiderio di vendetta contro i centristi e Casini in particolare.

Per Berlusconi, scrive la Stampa, «non ha senso la storia che Prodi sarebbe caduto anche senza i voti dell'Udc». Comunque, «nessun dramma. Questo è un avviso di sfratto. Ora andiamo alle amministrative senza polemiche, poi vedremo». Un concetto riportato anche dal Giornale, che nel suo retroscena attribuisce a Berlusconi anche un'altra riflessione, sulle «due opposizioni» di cui Casini «si dovrà far carico davanti al Paese». Con il leader Udc, si sarebbe ancora sfogato Berlusconi secondo un retroscena di Repubblica, «prima o poi farò i conti», comunque dopo le amministrative, perché «non possiamo correre il rischio di perdere anche al voto di maggio». Il tutto potrebbe essere rinviato al referendum, per una legge maggioritaria con cui vendicarsi dei centristi, che puntano invece sul proporzionale alla tedesca. Berlusconi, secondo i retroscena, sarebbe incerto se salire al Colle per chiedere le dimissioni di Prodi dopo i 155- e non 158 voti- della maggioranza sul decreto Afghanistan.

Ma dal Brasile, dove è in visita ufficiale dal presidente Lula, Romano Prodi non sembra affatto preoccupato. Tutt'altro. «Questo voto è una svolta politica, la maggioranza è compatta, l'opposizione è spaccata», ha esultato appena appreso l'esito dello scrutinio a Palazzo Madama. Di «esito infausto per Berlusconi» parla anche il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, che ha partecipato ai lavori dell'Aula. Secondo il responsabile della Farnesina, siamo di fronte ad una «duplice sconfitta per il centrodestra: la prima di fronte all'opinione pubblica, che farà fatica a comprendere il balletto di questi giorni, la seconda per le sue divisioni interne».

Presidente del Consiglio e ministro degli Esteri sottolineano come per il centrodestra sarà difficile «spiegare agli alleati stranieri» il suo atteggiamento ondivago, dopo aver votato sì alla Camera una settimana fa, ed essersi astenuto al Senato, dove vale come voto contrario. «Si è voluto dare un colpo ad un governo su un tema che non si presta a strumentalizzazioni politiche», dice D'Alema in sintonia con il ministro della Difesa, Arturo Parisi, che fino all'ultimo aveva invitato la Cdl ad un «ripensamento».

Anche il segretario dei Ds Piero Fassino si toglie qualche sassolino dalla scarpa: «Fini e Berlusconi - rimprovera - hanno preferito privilegiare un calcolo di bottega che per l'ennesima volta si è rivelato fallimentare, sia per l'effetto di una spaccatura vistosa nella loro coalizione che per la figuraccia di fronte ai nostri alleati». Secondo il ministro della Giustizia Clemente Mastella, Berlusconi ha puntato alla spallata sbagliando due volte, sul calcolo dei numeri e sull'effetto politico della sua decisione. Il leader dell'Udeur, comunque, invita a non iscrivere l'Udc nel centrosinistra, anche se considera la spaccatura del centrodestra come un elemento da valutare.

Visibilmente soddisfatto il capogruppo del Prc, Giovanni Russo Spena, per il quale il fatto che un ex senatore del suo gruppo, Franco Turigliatto, non abbia votato e altri due dissidenti irriducibili (Ferdinando Rossi, ex Pdci, e Mauro Bulgarelli, Verdi) non abbiamo partecipato alle votazioni è solo «un elemento di dissenso» ma non inficia la compattezza della maggioranza. Dello stesso avviso è la capogruppo dell'Ulivo, Anna Finocchiaro, che alle accuse del centrodestra di non autosufficienza replica: «Tentano solo di occultare il fallimento della linea adottata al Senato. Volevano dare la spallata ed ancora una volta non ci sono riusciti». «Abbiamo registrato - sottolinea Finocchiaro - anche la maggioranza politica sulla votazione di almeno 30 emendamenti al decreto e questa polemica è diventata stucchevole». Di «discorso strampalato» sui 158 voti necessari parla anche il vice premier Francesco Rutelli, intervenendo in serata a Ballarò. «Nessun Parlamento - osserva Rutelli - si fanno ragionamenti di questo tipo. I senatori a vita fanno parte del quorum sia che un provvedimento passi sia che non passi».

Una secca risposta all'opposizione viene infine dal ministro per le riforme Vannino Chiti, che lasciando l'Aula di Palazzo Madama ieri sera ha chiosato visibilmente soddisfatto: «Quando un decreto viene approvato con 180 voti possono anche attaccarci, ma credo che la Cdl si debba attaccare al muro».

Tratto da "L'unità"

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postato da Bernardino F.L. Cardenas; alle 11:27 AM,

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